ESTATE SAVELLESE AL TEMPO DEL COVID-19

Sarò un tantino esagerato, ma questa fase, nella diffusione della pandemia su scala mondiale, mi lascia tutt’altro che indifferente.

Mentre in Italia stiamo vivendo uno stato di “transizione”, il resto del mondo si trova infatti nel pieno dell’ondata epidemiologica. In una dimensione globale in cui ci si sposta a velocità supersoniche, spesso imprevedibili, abbassare totalmente la guardia potrebbe perciò coincidere, anche per la nostra penisola, con la minaccia di ritrovarsi a fare i conti con un proliferare di “casi di importazione” mal concilianti con l’attuale periodo estivo, per dirla alla leggera.

Detto questo, ben venga quindi l’atteggiamento prudenziale verso gli spostamenti, confermato dal blocco governativo in entrata verso il nostro Paese, da quelle realtà che il virus in casa ce l’hanno ed anche bello forte.

L’attenzione a ciò che accade all’estero va comunque affiancata da un bisogno di modificare le abitudini di vita quotidiana da parte di noi italiani, “costretti” a far convivere questo momento di calo dei contagi con il sopraggiungere della parentesi vacanziera.

Da questo punto di vista, tuttavia, se la fase più intensa del lockdown aveva messo in risalto i tratti migliori del popolo italico, quello che si unisce dinnanzi alle difficoltà evidenziando, talvolta, insospettabili sentimenti di solidarietà condivisa, vero è che proprio questo momento di passaggio sta, a mio avviso, delineando il contorno peggiore del vissuto nazionale.

Le prime contraddizioni riguardano, senza dubbio, il confronto/scontro in atto all’interno della comunità scientifica nazionale.

Quello attuale doveva essere infatti il tempo più propizio per tracciare compiutamente il virus, delinearne un profilo consono a combatterlo e fronteggiarlo se e quando dovesse riapparire con tutta la sua forza d’urto contagiosa e determinare un quadro più esaustivo in un panorama ad oggi fin troppo poco conosciuto.

Anzichè parlare di test sierologici e tamponi da effettuare, a tappeto, specie per le categorie di popolazione più a rischio e/o per le aree geografiche maggiormente coinvolte dalla prima ondata, oggi virologi ed epidemiologi nazionali lottano invece, l’un contro gli altri armati, contrapponendosi in diatribe,  mediatiche e solo tali, che nessun contributo forniscono alla lotta contro il coronavirus.

Che avesse ragione chi sostiene che il Covid-19 possa dirsi, almeno momentaneamente, sparito o, di contro, chi sostiene il contrario, poco conta.

Da questa disputa, infatti, escono tutti sconfitti, primi fra tutti quelli che, come me, credevano che oggi fosse il tempo per concentrare gli sforzi scientifici in un’unica direzione tentando di non lasciare nulla di intentato nel contrasto all’eventuale riproporsi di situazioni sanitarie simili a quelle esplose nel corso dell’emergenza appena alle spalle.

Altrettanto grottesco appare il dibattito intorno al “MES”, in particolare all’utilizzo di questo stesso meccanismo europeo in ambito sanitario.

Questi mesi hanno dimostrato, qualora ve ne fosse bisogno, che il sistema sanitario nazionale, seppur ricco di eccellenze esportabili in tutto il mondo, ha quantomai bisogno di essere ristrutturato, ripensato, rimodernizzato e riadeguato.

In un contesto deficitario a tutte le latitudini, innegabile è che i fondi del Mes servano quindi come il pane quale unico approdo per un Paese iper-indebitato come il nostro per cercare di mettere a posto le cose.

Se quindi, come sembra, i fondi Mes per la sanità saranno attivabili senza condizionalità alcuna, ogni discussione, a riguardo, è da ritenersi superflua.

Piuttosto, bisognerebbe già attrezzarsi per programmare gli interventi specifici a cui indirizzare tali risorse e per spenderle altrettanto rapidamente senza  strumentalizzazione alcuna, politica e/o parlamentare che sia.

Nessuna ombra di dubbio la riservo, infine, ai comportamenti miei condano.

Da parenti, anche intimi, e da amici, anche strettissimi, vengo rimproverato di essere fin troppo prudente rispetto alla fase che stiamo vivendo.

Vorrei smentire tutti loro: sono mesi che sono ritornato, al pari di milioni di connazionali, al lavoro fisico in luogo di quello cosiddetto “agile”, così come ho ripreso parecchie abitudini della mia normalità.

Ma detto ciò, prendetela come volete, ritengo che ancora alcuni accorgimenti vadano mantenuti.

Per questo evito ed eviterò al minimo gli assembramenti, tendo e tenderò a portare ancora la mascherina nei luoghi chiusi, saluto e saluterò evitando di stringere la mano (il che non vuol dire che stimo di meno il mio interlocutore). Se posso, finché potrò, eviterò il superfluo.

Trattasi ovviamente di scelte personali, come tali non condivisibili, ma pur sempre da rispettare così come io stesso rispetto, pur non condividendole del tutto, le scelte di quelli che la normalità la sono ritornati a vivere appieno.

Fra queste, ad esempio, il generale ritorno alla vita pre-lockdown sia a Savelli che a Crotone, i due contesti territoriali che frequento quotidianamente.

Riguardo al mio paese di origine, nel quale trascorrerò, come sempre, questa estate 2020, avessi ricoperto un ruolo istituzionale avrei pensato di mettere in piedi qualche iniziativa, tipo test sierologici diffusi su base volontaria per residenti ed emigrati, investendo qualche risorsa comunale per tracciare interamente la situazione della popolazione residente e dei figli di questa terra che vi faranno ritorno.

In questa direzione, mi ero peraltro mosso per organizzare la venuta, in quel di Savelli, di un gruppo di volontari di un’associazione di Cosenza che sta mettendo in piedi campagne di screening in gran parte dei comuni calabresi.

Questo mio desiderio, seppur valutato, non è stato preso a cuore per “mancanza di fondi”.

Speriamo che i fondi comunali siano comunque indirizzati in altra, ma comunque giusta direzione; nel frattempo, non resta che augurarsi che Dio continui a mandarcela buona, anche in questa estate pronta ad entrare oramai nel vivo…