CHE DIO CE LA MANDI BUONA

Non ho ancora approfondito dettagliatamente i contenuti nel nuovo decreto governativo, il cosiddetto “decreto rilancio”.

Dovrò farlo, al più presto, in quanto molte delle misure ivi prospettate avranno inevitabili ripercussioni sul futuro più prossimo, professionale ancorchè personale.

In attesa di abbandonarmi alla lettura, una prima reazione non può che essere di pancia.

Percorrendo questa strada, comunque preferibile a quella del volersi ergere a protagonisti in quel tritacarne del “far web” che da oggi tornerà ad ospitare provetti economisti vestiti da curvaioli, la mia analisi è improntata all’ottimismo.

Pur non potendo disquisire, infatti, degli aspetti più strettamente tecnici dei provvedimenti adottati, di possibili alternative considerabili e/o non considerate, di elementi positivi da porre in risalto, di eventuali critiche da manifestare, l’approccio, iniziale per quanto limitato, è pertanto ispirato da sensazioni positive.

Forse, perchè, non può che essere altrimenti, in un periodo storico, come quello attuale, in cui i margini di manovra sono nulli se non, nel migliore dei casi, piuttosto risicati.

La prima cosa che ho pensato nel post conferenza stampa del Cdm di ieri sera è che questo Paese non poteva avere, allo stato, guida migliore se non quella di Giuseppe Conte.

Che non sarà Churchill, ma che in una situazione emergenziale da brividi sta, a mio avviso, dimostrando i crismi di una leadership sorprendente ed inaspettata.

Sono doti che da sole non serviranno a salvare un Paese che malato lo era già abbondantemente prima del suo avvento al potere, forse neanche a limitare gli impatti di una catastrofe che da qui in avanti avrà ripercussioni economiche ancora più forti di quelle sanitarie, ma che rappresentano comunque tanta roba.

La verve con cui questo Presidente del Consiglio ci mette la faccia, sa infatti di rassicurazione, di ponderazione che parla il linguaggio della porta accanto, della franchezza di chi ammette candidamente ritardi nella maggior parte dei casi attribuibili ad epoche non sue; odora di voglia di non arrendersi di fronte ad una battaglia che mette a dura prova l’uomo prima che l’istituzione.

Da standing ovation quanto detto su Silvia Romano, da applausi tutto il resto, in un contorno, come di consueto, sobrio, ben calibrato e soprattutto teso a parlare in linguaggio della vita di tutti i giorni e non del politichese.

Lo stesso linguaggio espresso da molti Ministri di questo Governo, da Speranza, ad esempio, fino ad arrivare a Teresa Bellanova.

La commozione della Teresa nazionale entrerà dritta nella storia perchè rende il senso di una conquista su una materia vissuta sulla propria pelle.

Perchè avvicina un Ministro al popolo e Dio sa quanto ce ne sia davvero bisogno specie in questo momento.

Perchè racconta di lacrime che profumano di diritti, che tolgono linfa al lavoro nero, al capolarato, alla criminalità organizzata e danno, invece, identità a migliaia di persone, spesso immigrati, che consentono di tenere in piedi un settore, quello agricolo, vitale  per la nostra economia, lavorando su campi che, senza di loro, rimarrebbero incolti.

Alla critica dell’opinione pubblica italica che non si farà attendere, come sempre, anche in questa occasione, spetta stavolta l’onere di dover fornire e confutare ipotesi alternative, di spiegare come ogni altra proposta si fosse potuta incastrare nella dimensione di uno Stato già ampiamente indebitato ed indebolito.

Dire, eventualmente, in che cosa Conte ed il suo Governo hanno realmente “toppato”, indicando, poi, quali sarebbero potute essere le altre strade da poter perseguire.

In quel caso, si dovrebbero individuare le eventuali coperture finanziarie e le azioni diverse da porre in essere rispetto ad una manovra che ha, comunque, i numeri imponenti di due Leggi di Bilancio in un colpo solo.

Per essere credibili, le critiche dovranno essere, in altri termini, supportate da elementi oggettivi.

Perchè è finito il tempo del tifo e, se responsabilità deve essere, lo deve essere un po’ per tutti, nessuno escluso.