GIALLO-RAVANELLO – IL NUOVO GOVERNO CONTE

Dopo alterne schermaglie post “crisi da spiaggia”, con la designazione dei Ministri incaricati, ha avuto ufficialmente inizio l’era del governo giallo-ravanello (definirlo rosso pare molto azzardato).

Lo si voglia, appunto, immortalare sul piano cromatico o se si preferisce, etichettare, come un “Conte-bis”, il neonato Esecutivo nasce con i classici interrogativi che hanno accompagnato, negli ultimi 30 anni, per motivi più o meno disparati, le esperienze di governo pregresse, caratterizzate peraltro da profonda incertezza tramutatasi, poi, puntualmente, in latente precarietà.

Oltre che lungo il proverbiale sentiero, tutto italico, dell’instabilità intrinseca, questo Governo nasce anche sotto la stella di contraddizioni di fondo che rischiano di trasformarsi, ben presto, in minacce tali da condizionarne tanto gli albori quanto un più duraturo prosieguo.

Primo pericolo è rappresentato dalla composizione politica stessa dell’Esecutivo che vede convergere due forze, solo ieri, l’un contro l’altro armate e contrapposte da divergenze che costituivano l’essenza dell’una a scapito dell’altra.

Oltre alla già di per sé forbita gamma di incongruenze, c’è poi l’altrettanto nutrito campo, di errori e di orrori, che questa nuova compagine, per molti versi innaturale, l’hanno spinta a far nascere.

Re indiscusso di questa saga, non certo esaltante della politica nostrana, è stato, senza alcun dubbio, Matteo Salvini.

Salito alla ribalta per aver chiuso i porti (?) ed aver fatto divenire centrale un problema che centrale non lo era in una nazione ferma al palo da decenni per ben altre motivazioni, il leader della Lega è stato vittima di sé stesso, del suo spirito di onnipotenza, del suo desiderio sfrenato di sferrare un colpo da all-in.

Roba già vista per l’altro Matteo nazionale, accomunato al nostro dalla stessa sorte e da un nome che, in politica, sembra non avere i crismi del “profetico”.

La “strategia- non strategia” dell’ex ministro dell’Interno preserva, per fortuna, l’essenza della politica stessa che deve essere contenuto e non solo social, metodo e non solo frasi buttate lì in un “Papeete” qualsiasi, che deve fare i conti con le istituzioni e non solo essere tesa a procacciare, maldestramente e senza autorevolezza alcuna, “pieni poteri”.

Sono definibili solo parzialmente migliori le performance di Di Maio e company.

Se i Cinquestelle erano andati lì per aprire il Parlamento come una “scatoletta di tonno”, allearsi con il Partito che una volta il tonno lo rappresentava per definizione, è di per sé una evidente stortura.

Riuscirà il terreno della mediazione a scompaginare quegli steccati insormontabili che l’intransigenza di qualche tempo fa aveva fatto annoverare fra gli elementi fondativi del Movimento stesso?

Per il momento, anche una non profonda riflessione porta a concludere che i Cinquestelle della prima ora non esistono più; l’evoluzione, di governo, ha portato verso canoni di intercessione che, se da un lato in un paese democratico sono peraltro auspicabili, dall’altro mettono la pietra tombale sulla dirompenza, dialettica e non solo, talvolta esagerata dei grillini.

Che non erano marziani all’inizio (sciocco chi lo ha creduto) e che non si sono rivelati marziani adesso che il loro approdo verso l’essere compagine politica nel suo significato più profondo (con i pro e i contro che ciò comporta) si è definitivamente compiuto.

Resta da capire il perché dell’apertura odierna al dialogo con un Pd a trazione decisamente renziana, specie se contrapposto al secco rifiuto al Pd bersaniano del 2013 quando, giovani e forti, si poteva, con un pò più di lungimiranza e di consigliabile “umiltà di noviziato” cambiare la storia.

Ma quella è per l’appunto tutta un’altra storia e riguardo la storia appena iniziata solo il tempo saprà dire se trattasi di scelta azzeccata.

Nel mentre, l’unico “politico” che sembra essersi sin qui mosso in maniera azzeccata risulta essere proprio il premier designato Giuseppe Conte.

Nella figura, istituzionalmente ispirante, del Presidente del Consiglio sono riposte le speranze di un futuro che contraddica benevolmente gli scetticismi di fondo.

Serviranno non solo capacità da arbitro che, anche stavolta, si preannunciano doverose, ma volontà di mettere in campo azioni decise, tese a far ripartire il Paese, a farlo uscire da uno stallo ormai latente, a dare un minimo di credibilità ad un’Italia che effervescente lo è rimasta solo sui social.

Che la nuova fase abbia inizio dunque.

L’auspicio è che si tratti di una fase in qualche modo proficua; che sia almeno stabile e poco litigiosa sembra il minimo che ci si possa attendere.

Tutto il di più che eventualmente verrà, sarà comunque ben accetto.