MATTEO VS MATTEO

Una delle stagioni estive più effervescenti della storia politica del Belpaese si conclude con la fuoriuscita di Matteo Renzi e della componente del “giglio magico” dal Partito Democratico.

Dopo l’autentico “harakiri governativo” del Matteo di destra, ecco, pronta, la contromossa del Matteo di sinistra, sempre se tale si può definire chi nel centro-sinistra è evidentemente transitato, ma che di sinistra non lo è mai stato.

Uniti dal filo, non sempre sottile, spesso sostanziale, di una mediaticità spinta ben oltre ogni contenuto, dal non saper dire praticamente nulla, ma di saperlo fare benissimo, i due Matteo sono, ancora una volta, accomunati da un destino che li pone al centro di uno scenario politico non certamente degno di essere ricordato per la statura e l’autorevolezza degli uomini e delle forze in campo.

Cosicchè, mentre per quanto concerne Salvini solo il tempo dirà se il suo “all-in istituzionale” avrà prodotto i risultati sperati, per quanto riguarda l’ex Sindaco di Firenze bisogna ammettere che egli un risultato lo ha già ottenuto: togliere il disturbo e levare dall’impiccio gran parte di quel Partito e del vicino contorno esterno che pativa oltremodo il suo spinto egocentrismo.

Quell’individualismo, di puro stampo berlusconiano (meglio l’originale però), valso a farlo salire alla ribalta con le stimmate del rottamatore della prima ora, o dell’Enrico stai sereno, poi confermatosi nel “se perdo il referendum smetto di fare politica”, ma incredibilmente naufragato nel vortice, rapido e coinvolgente, della (non) politica nazionale odierna.

Legittimatosi con una “pseudo legittimazione” (il 40% alle Europee del 2014), Renzi ha quindi  velocemente depauperato il credito “conquistatosi”.

Vi è riuscito, nel rapido volgere di un baleno e lo ha fatto, raggiungendo, fra l’altro, la non certo scontata e contemporanea impresa, di mettere a soqquadro una nazione, di disintegrare l’organizzazione di un Partito di Governo e di aprire, comprensibilmente, le porte alla protesta, al populismo ed a tutto ciò che poi è divenuto Governo gialloverde.

Oggi, che dietro la manovra di palazzo del Governo “giallo-ravanello” si intravede, netta e chiara, la longa manus sua e del gruppo parlamentare che ad egli fa riferimento, Renzi promuove la scissione perché spera di “monetizzare” elettoralmente questa sua nuova azione.

Renzi va via perché, a suo dire, “il Pd è troppo di sinistra”.

Se, anche in questo caso, saranno gli accadimenti futuri a definire se trattasi di condotta avventata o di strategia insospettabilmente degna di nota, certo è che la motivazione resa, appare ben lontana dalla realtà dei fatti, addirittura fuorviante se non ridicola.

Per molti versi, l’ennesima affermazione non condivisibile di un personaggio dal quale molti, che di sinistra lo erano o lo sono stati realmente, hanno, in tempi non sospetti, preso comprensibilmente le distanze.

Al contrario, invece, il Pd di Renzi è formazione politica mai stata così distante dalla sinistra autentica, da una sua visione riformista e progressista, da una sua spendibile veste di Governo, da una dinamica innovativa e comunque non lontana dai valori fondativi che la sinistra, quella vera, non deve mai disperdere.

Ecco perché se la notizia della scissione, sul piano elettorale e del consenso, andrà pesata e ponderata rispetto a quella fetta di elettorato moderato che questo sussulto di “renzismo” saprà catturare, per il Pd del futuro il venir meno di Renzi non può che essere un’opportunità.

Un’imperdibile opportunità per recuperare strade perdute ed aprire nuovi ed insperati orizzonti.

Scenari futuri e prossimi, da solcare, non appena sarà smaltita la sbornia, autentica, di questo abbandono che, quasi d’incanto, invita alla festa per quanto potrebbe rivelarsi salutare.

Anche e soprattutto per sconvolgere un copione che, nel frattempo, si preannuncia scontato: il più classico e scialbo dei Matteo contro Matteo…