AL BAR DI EMMA

Sarà la pioggia che cade copiosa, sarà l’incedere del tempo che avanza inesorabile, ma questo è uno di quei giorni in cui odori e sapori, accostati al sovrapporsi di eventi ed immagini, ti fanno chiudere magicamente gli occhi e ritornare al passato.

È un viaggio autentico, in cui il profumo di “riganu scucciatu” quello che, intenso ed inconfondibile, inebria la tua nuova casa, ti fa sentire davvero a casa rendendo continuo il ricordo di una persona che quotidiano lo è oramai da tempo.

È quella stessa sensazione che ti fa ritornare bambino dinnanzi al pane con l’uovo, che ti fa commuovere per una semplice pasta, olio e formaggio condita con la “piparogna”.

È un sentiero che ti porta lontano nel momento stesso in cui inforni le patate con le zucchine, o anche solo quando afferri una salsiccia in cui affondi profondamente i pensieri.

Ci sono poi eventi che aprono, incredibilmente, il cassetto dei ricordi.

Uno di questi riguarda inesorabilmente questo giorno, un cupo e grigio intermezzo di fine estate che mentre per il mondo intero coincide con il ventennale della storica e tragica caduta delle “torri gemelle” e per me rappresenta una delle tante e frequenti parentesi in cui attività domestiche aprono scenari immensi, per la comunità savellese coincide con la perdita di un altro pezzo di storia.

Perché è così che, senza bisogno di ricorrere a paroloni o ingegnarsi in particolari sforzi dialettici, va ricordata e ricordo, con profonda commozione, Emma Astorino.

Chiudendo gli occhi, come potrebbero fare tutti i savellesi che il paese lo hanno vissuto fra la metà degli anni cinquanta ed i primi anni novanta, le immagini scorrono così velocemente da sembrare un film, di quelli belli ed emozionanti però.

O forse frammenti di un film lo sono davvero, quello della vita di ciascuno che, come me, in quella Savelli vi è cresciuto, che di quella Savelli conserva un ricordo indelebile.

In questo percorso della memoria c’è la “vota” gremita di un bar affollato, c’è un bar che all’interno pullula ancor più di gente.

Ne riconosco moltissimi lì dentro, pur essendo poco più che bambino.

C’è mio padre, lo scorgo per primo, non potrebbe essere altrimenti; lui, quel bar, lo frequenta quotidianamente perché lì dentro ci sono gli amici ed i conoscenti di sempre, molti ci sono ancora oggi, altri non ci sono più, fra loro anche quelli che già a quei tempi erano in là con l’età.

Ma che personaggi, di che statura, di che personalità e che sinfonia quel vociare che accompagna tavoli pieni di gente che giocano a carte, fra chi spegne una sigaretta e chi ne sta per accendere subito un’altra.

Ci sono quelli che giocano a “bigliardino” animando tornei che durano ore, ci sono dibattiti infiniti di politica e di calcio, ci sono i comunisti ed i democristiani, c’è il rispetto reciproco così come la consapevolezza di voler stare bene con gli altri.

C’è poi il juke box che d’estate viaggia a ritmo incessante, basta una moneta per conoscere finalmente i nuovi “tormentoni”, c’è un gelato artigianale che sarà storia, c’è l’odore del limone, un bicchiere di vetro che sfoggia una maestosa granita, le fragoline di bosco raccolte con le proprie mani e trasformate in qualcosa di speciale (il compianto Joe Vescovi confermerebbe).

C’è la panna montata, un caffè mai banale, una bibita da assaporare insieme, la convivialità che nessuno immagina sarà poi così difficile da preservare.

Ci sono le partite dei Mondiali, quelli che ti raccontano la felicità della spedizione di Spagna, le gesta di Maradona, gli occhi sgranati di un sorprendente siciliano che ci (lo ricordo come se fosse ora) fanno vivere “notti magiche”.

C’è poi una signora, la barista, che brilla per eleganza e discrezione; lavora alacremente, con ordine, pulizia e precisione.

Lì dentro, le ruota inevitabilmente tutto attorno: è punto di riferimento ed amica, saggia consigliera quanto indissolubile direttrice.

Lei, che quel bar lo manda avanti da sempre accompagnata dall’inseparabile marito e da quei figli che in quelle mura crescono al pari di migliaia di giovani coetanei, non sa che quelle stesse mura, il loro vissuto, l’aria che trasuda da quel luogo resteranno per sempre nella storia, di tutti loro, di tutti noi.

Da quel bar ed in quel bar si consuma il film di questa giornata, incredibilmente nostalgica, forse anche malinconica e velata, in cui ricordi familiari costanti si mescolano piacevolmente con la memoria di un’icona che viene a mancare.

Ciao Emma, riposa in pace!!!