MORTE DI UN PARTITO MAI NATO

Non si capisce bene se l’Assemblea del Partito Democratico abbia determinato, o meno,  la scissione del partito stesso, né se la direzione odierna procederà formalmente su questa rotta.

Tuttavia, al di là delle classiche schermaglie “politichesi”, preludio a decisioni da adottarsi nei prossimi giorni se non nelle prossime ore, la scissione è di fatto già avvenuta.

Il Pd, o perlomeno molti pezzi di esso, sono infatti già fuori dal Pd.

Se il processo di fuoriuscita, sul piano dirigenziale, è graduale, persino lento, nella “base” (termine antico per quanto ancora attuale) il dado, per molti, è tratto.

Senza bisogno di particolari analisi, ognuno ha la propria versione dei fatti ed è giusto che se la tenga stretta, il Partito Democratico termina il suo percorso per una serie di ragioni oggettive.

La prima, è che il PD non è mai nato.

Fredda fusione di due culture politiche fin troppo diverse, esso non è mai divenuto contenitore capace di accrescere l’appeal dei singoli elementi che lo compongono (o che lo componevano).

Ne è conseguito che proprio gli elementi originari, Ds e Margherita (solo per citare gli ultimi), nel passaggio alla nuova creatura, non solo non abbiano accresciuto il consenso, ma addirittura perso terreno rispetto alla condizione preesistente.

Né tantomeno, dal 2007 ad oggi, ad incoraggiare il nuovo corso sono state nuove generazioni che contenevano l’innovativa essenza di ritenersi “democratici”. Tutt’altro.

Se da un lato, infatti, le contrapposizioni, ideologiche e culturali, fra ex democristiani ed ex comunisti sono rimaste tali, dall’altro, proprio i giovani non hanno guardato affatto al nuovo soggetto, attratti da percorsi sicuramente più seducenti (M5S su tutti) e/o evidentemente non adeguatamente stimolati.

Ma il Partito Democratico ha finito la propria corsa soprattutto per l’incapacità di interpretare, specie negli ultimi anni, il cambiamento che sta tuttora avvenendo su larga scala.

Di fronte al fallimento del capitalismo e del liberismo, c’era da recuperare la centralità della persona ed abbandonare un’esclusiva logica di “mercato”.

Procedere in direzione diametralmente opposta rispetto alla strada che si doveva percorrere, ha inevitabilmente segnato le sorti di un soggetto politico allontanatosi eccessivamente da una delle sue entità fondative.

Il Pd si sgretola quando guarda troppo ai grandi capitali e per nulla agli ultimi ed ai più deboli.

Il Pd non ha senso di esistere se preserva finanza e lobbie e non percorre gli imprescindibili sentieri dell’uguaglianza e  della redistribuzione della ricchezza.

Il Pd non esiste se toglie l’IMU alle abitazioni di lusso e non ha il coraggio di far pagare di più a chi di più possiede.

Il Pd non esiste quando si inventa i “voucher” e non parla di reddito di cittadinanza, quando smantella l’art.18 e promuove il “jobs act”, quando si schiera con Marchionne e non con operai e lavoratori.

Il Pd non esiste quando demonizza le sigle sindacali e si scaglia contro i dipendenti pubblici, quando tutela i banchieri e non i risparmiatori, quando non parla con convinzione di ambiente e sanità o quando la sua “buona scuola” è più uno slogan che una riforma a vantaggio di migliaia di precari.

Né può ritenersi credibile un Partito che nel suo programma ha la “green economy” e poi promuove la trivellazione delle coste, che boicotta Marino solo perché non fa parte del “giglio magico”, che promuove la propria classe dirigente per apparenza e non per contenuto.

Il Pd non è Pd, quando non fa una legge anti-corruzione, quando sonnecchia sulla lotta all’evasione e quando, ancora, si avventura, con precipitazione, nel maldestro tentativo di cambiare la carta costituzionale.

Né è tale quel partito in cui circoli bigotti si sostituiscono a sezioni pulsanti, in cui l’appartenenza si baratta con la fugacità di un comitato elettorale, in cui alla tessera si preferiscono le dichiarazioni di intenti, alla Festa dell’Unità le convention, alla salamella la più aristocratica cena sovvenzionata dall’alta finanza.

Non è un Partito quello in cui il leader prevale sulla comunità, né può definirsi democratico quel contesto nel quale la dialettica esiste solo per adulare il capo.

Il Pd non esiste perché piuttosto che evitare la scissione, il suo segretario vaneggia onnipotente per la sua strada.

Il Pd non esiste perché troppo lontano da questa Italia e da questa realtà, triste epilogo di un partito che muore ancor prima di essere nato.