TUTTI VINCONO TUTTI PERDONO

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Senza bisogno di avventurarsi in ricostruzioni del giorno dopo che potrebbero rivelarsi avventate e poco credibili, il post-voto di queste Amministrative 2016 ci consegna alcuni elementi incontrovertibili da affidare alla storia politica del Belpaese.

Il primo riguarda la comprovata solidità del Movimento Cinquestelle che si conferma reale antagonista allo strapotere, più mediatico che reale per la verità, del Renzi nazionale.

Registrato il non entusiasmante risultato di Milano, M5S si conferma una forza consistente con la quale fare i conti, di fatto, su tutto il territorio nazionale.

È il primo partito a Torino, mentre addirittura eclatante è il risultato di Roma, dove Virginia Raggi massimizza le difficoltà dei partiti tradizionali per fare il pieno di voti e raggiungere il ballottaggio da una posizione di indubbio vantaggio rispetto al malcapitato contendente.

Se la Raggi diventasse Sindaco di Roma sarebbe un passo decisivo verso i 5 Stelle come forza politica di governo e non più solo di protesta o di opposizione.

In attesa però di vincere l’intrigante sfida capitale, il dato complessivo che riguarda i pentastellati coincide con i consensi ottenuti da più parti ed alle diverse latitudini: un approdo essenziale nel proprio percorso di crescita.

Se infatti Roma sarà il banco di prova per saggiare le velleità governative, anche e soprattutto dopo un eventuale successo, i numeri dicono che quella che ieri era solo una “protesta” oggi va configurandosi sempre più quale realtà politica ben radicata che non è più momentanea contingenza.

Tiene anche il Centrodestra, coalizione sfilacciata e residuale che seppur copia sbiadita, quasi malinconica, di quel raggruppamento che racchiudeva il sogno neo-liberale di Silvio Berlusconi e dei suoi fedeli sostenitori, da queste amministrative ritrova slancio, specie in alcuni contesti quali Milano.

Se al nord è Salvini il punto di riferimento, il buon risultato di Milano coincide soprattutto con il ritrovato appeal degli azzurri che superano il 20 per cento, doppiando le previsioni.

Molto male, invece, Forza Italia nelle altre città (Napoli e Bologna) e a Roma, dove la Meloni attacca e si sente giustamente tradita dalle fallimentari strategie berlusconiane.

Certo è, che al di là di quella che sarà la sorte di Parisi, candidato di coalizione che al ballottaggio se la vedrà con Sala, tra una Lega che non sfonda nel centro-sud e una Forza Italia con Berlusconi sempre meno rilevante, il centrodestra ha bisogno urgentemente di trovare un nuovo percorso politico capace di raccogliere le briciole di un lontano (non troppo) e glorioso passato.

A proposito di fallimenti, non stanno meglio neanche dall’altra parte (se tale si può ancora definire).

La più significativa eredità di questa ultima tornata elettorale coincide infatti con lo sgretolarsi, graduale ma incessante, di quello che era il Partito Democratico di sua maestà il Premier.

I segnali che emergono sono ben più preoccupanti di un sibillino“Non siamo contenti”e non sono positivi per il Pd, i cui fasti dell’Europee sono oramai solo un lontano ricordo.

A Roma Giachetti è riuscito ad andare al ballottaggio soprattutto a causa delle divisioni del centrodestra, ma resta improbabile una rimonta da Virginia Raggi.

A Milano Sala è avanti di poco, rischia al secondo turno con Stefano Parisi e di certo non ha ottenuto l’affermazione sbandierata dal suo sponsor principale (lo stesso premier-segretario).

Se si considera che a Milano il centrosinistra ereditava la splendida opera amministrativa portata avanti da Pisapia, se non trattasi di fallimento, poco ci manca.

Ancha a Torino Fassino non sfonda, a Bologna la situazione è tutt’altro che rosea ed a Napoli niente ballottaggio.

Renzi ha annunciato il commissariamento del partito riferendosi solo al contesto partenopeo, ma una riflessione critica a tutti livelli sarebbe auspicabile per il Pd o per quel che resta dell’idea iniziale che aveva portato alla nascita di questo contenitore.

La situazione non va meglio per i democratici in terra calabrese: eloquente è il risultato di Cosenza, dove le percentuali raggiunte sono addirittura imbarazzanti.

Più che fare con i presunti gufi o dimenarsi a pubblicizzare l’autunnale appuntamento referendario, è giunta forse l’ora di un’effettiva resa dei conti interna, al fine di verificare propositi e consistenza e magari ridare finalmente la parola agli elettori?

In altri tempi, quando forse qualche schema politico trovava fondamento, l’appuntamento con le urne era un test che verificava anche la tenuta dei diversi Governi.

Basterebbe rifarsi a questa prassi per concludere che l’Esecutivo attuale non esce sicuramente promosso dalla tornata elettorale e deve quindi essere messo sotto esame.

Guardando i risultati da questa prospettiva infatti, essere parte del governo, di questo Governo, o esserne alternativa non è proprio la stessa cosa.

Anzi, proprio questa si è rivelata, di fatto, la discriminante che ha indirizzato pesantemente il consenso in queste recente elezioni.

I partiti tradizionali, Pd e Forza Italia, soffrono; avanzano, seppur in maniera contestualizzata, Lega e Fratelli d’Italia, diventano forza consolidata i Cinquestelle, si aprono spiragli, per il momento abbastanza ristretti, a Sinistra (vedi Fassina ed Ariaudo, ma anche Zedda) che, dalla mia prospettiva, sarebbero interessanti da esplorare.

Interessante quanto i risultati di queste amministrative 2016; numeri di quali si deve prendere atto piuttosto che far finta di niente o, peggio ancora, spostare il tiro ricorrendo a poco utili esercizi di “politichese”.