MADRE TERRA


Non sarà stata redditizia come in passato, ma anche quest’anno la campagna di raccolta delle olive si è rivelata momento unico, in  grado di regalare emozioni da vivere e da raccontare.

Per definizione, non sono mai stato ritenuto un “pollice verde” e confesso che faccio ancora fatica a ripensare a quando, in età adolescenziale, reduce dai bagordi di notti savellesi tipiche del periodo natalizio, venivo autenticamente catapultato sotto alberi di ulivo secolari che apparivano compagni di viaggio ben poco graditi.

Proverbiali, erano, ai tempi, le mie performance, scarse e stravaganti, caratterizzate dalla mancanza di concentrazione e dalla svagatezza di chi avrebbe preferito stare al bar con gli amici piuttosto che avere a che fare con “pertiche”, reti, teli, sacchi e quant’altro significasse sporcarsi le mani con il “frutto” più ambito.

Altrettanto francamente, devo ammettere che il rapporto, tribolato, con la “roba” è andato via via migliorando, fino ad assumere, negli ultimi anni, i contorni, insospettabili, di un legame autentico, rinsaldato da sensazioni miste a sentimenti dall’indubbio valore nostalgico, quasi esistenziale direi.

Mi sono chiesto, spesso, come questo rapporto possa essere cambiato in maniera cosi profonda seppur graduale.

Ho attribuito questo cambiamento alla maturità, al crescere di una consapevolezza interna che si alimenta, magari, con lo scorrere del tempo.

Poi, mi sono accorto che in realtà più che di uno stato d’animo soggettivo, si tratti di un’evidenza che è intrinseca: la terra esercita un’attrazione propulsiva su ciascuno di noi.

La esercitava sui miei nonni, che la lavoravano quasi quotidianamente, la esercita, anche se in termini diversi, sui miei zii, la esercita su di me e penso la eserciterà, in qualche forma, anche sulle future generazioni.

Un uliveto, un frutteto, un campo coltivato o destinato a pascolo hanno ed avranno, da sempre e per sempre, un fascino capace di estendersi in una dimensione interiore che, per ognuno, risulta poi difficilmente controllabile.

Dentro ci sono origini, affetti, ricordi e storie di vissuto che nessun altro luogo è in grado di racchiudere così intensamente.

Se chiedi al mio amico milanese Franco di raccontarti cosa ricorda dell’infanzia nel suo paese di origine, ad esempio, egli ti dirà, per prima cosa, delle alzate mattutine con la nonna per andare allu “Vituriellu”.

La stessa intensità te la potrà trasmettere poi Michele, altro amico del nord, di origini savellesi, che alla terra ha consegnato, di recente, le spoglie di quel padre, emigrato, che proprio lì, dove era cresciuto, è voluto ritornare per sempre.

È la stessa intensità che ho provato nell’ultima raccolta effettuata, al fianco di mio fratello Domenico e che provo, oramai di consueto, ogni volta che vado a “Paluri” per annaffiare i “miei” melograni o per raccogliere i frutti di stagione.

Emozioni uniche, che hanno i volti delle persone più care, di coloro che a quella terra hanno regalato vite e fatiche, che hanno il sapore acre del sudore e del sacrificio, che hanno l’aspetto indimenticabile di cristallini momenti di condivisione familiare.

Sono proprio quelli che ho riassaporato, anche quest’anno, fra una “curramata” e l’altra, ripensando a nonno Domenico e nonna Antonietta che a quella terra hanno dedicato la vita ed i migliori momenti di gioventù.

Ripensando a mio padre, che quella terra l’ha modellata, ai suoi racconti sbiaditi di quando, da bambino, partiva con la “ciuccia” in compagnia di nonno Antonio e nonna Chiara.

Ripensando a tutti quei Tiberi che a quella terra hanno comunque legato pezzi di vita, delle quali la terra stessa rappresenta, sempre e comunque, scenario inscindibile.

Scorrendo volti ed immagini come un riavvolgersi di pellicola intenso ed inesorabile, ho poi concluso che, proprio dalla terra proviene, e non potrebbe essere altrimenti, quel patrimonio di valori da cui si prende spunto per affrontare tutto il resto, con spirito giusto e, perché no, sfrontato.

Una verità, che come tale sarà necessario dover tramandare, raccontando, per quanto possibile, un qualcosa di splendido, di indissolubile, di così tanto recondito da essere viscerale.

Quella storia, comune a ciascuno di noi che ha, come variabile essenziale, la madre terra…