MARINO, IL SINDACO DISMESSO

Foto Marino

Con le dimissioni di Ignazio Marino da Sindaco di Roma si conclude una delle pagine più controverse della recente storia capitolina.

L’uscita di scena dell’ex primo cittadino non dirime tuttavia i lati oscuri della vicenda. Tutt’altro.

Quanto più di grossolano possa esserci, è il credere che, venuto meno Marino siano scomparsi, come d’incanto, i problemi e le contraddizioni di Roma. Al contrario.

Il giudizio su Marino e sulla sua esperienza amministrativa non può infatti fermarsi “all’apparente”, al tam tam mediatico, alle dicerie, alle notizie veicolate dai social, ma necessita di approfondimenti e senso critico.

Seguendo tale impostazione, il mio personale convincimento è presto detto: Marino è l’agnello sacrificale del Pd nazionale e romano, oltre che di un sistema politico ed affaristico, tipicamente romano, che ha solo voluto preservare talune ambiguità dal malcapitato Ignazio.

Che da destra o sinistra lo si sia definito inadeguato, incapace, incompetente ci può anche stare (io non condivido), a patto che ogni analisi sia supportata da fatti e non da “sentito dire”, né tantomeno da steccati ideologici che, in tempi di “larghe intese”, non hanno modo di esistere.

Il mio giudizio è fuori dal coro: non star bene a nessuno equivale, dal mio punto di vista, ad essere la persona giusta; messa al posto sbagliato magari e per questo ancor più scomoda ed indigesta.

Il Pd, dicevo, ha politicamente immolato Marino per il sol fatto che l’ex Sindaco di Roma non è mai stato avvezzo all’ex Sindaco di Firenze, fin da quel “Rodotà Presidente” sgradito alla corrente maggioritaria.

Basti, in tal senso, prendere atto del diverso atteggiamento con il quale il Nazareno ha (non) affrontato la questione romana rispetto ad altri scandali che hanno coinvolto gli esponenti democratici ad altre latitudini.

La continua critica all’operato, il mancato sostegno alla sua azione amministrativa fin dagli albori, l’ingombrante presenza di Gabrielli, il voler scaricare sul Sindaco una vicenda (“Mafia Capitale”) che è più del Partito che sua, sono segnali evidenti che si muovono in tale direzione.

Se Renzi e la sua “creatura” avessero espresso condanne di altre situazioni (De Luca docet per tutti), oggi si comprenderebbe anche il volersi sbarazzare, in nome della “questione morale” (non si sa bene quale), di un uomo proprio, ma che proprio non lo è mai stato.

Poiché altrove il Pd è invece sempre più altro, non si capisce il perché di questa avversione preventiva; tanto più da una compagine politica che sta scrivendo la Costituzione con tal Verdini.

Chiusa, con questa precisazione, la lettura politica, se tale si può definire, dell’affaire Marino, gli altri aspetti che influenzano la questione hanno contorni ancora più complessi, quasi inquietanti.

La “fossa” scavata dall’ex Sindaco della Capitale ha infatti radici profonde e radicate nella città eterna.

Riguarda un panorama di piccoli e grandi interessi toccati dal “Sindaco marziano” in poco più di  due anni, in un “sistema” romano abituato a gestirsi “all’amatriciana” ed a spartirsi grosse fette di “abbacchio al forno” o succulenti piatti di maccheroni con abbondanti spruzzate di “cacio e pepe”.

La chiusura della discarica di “Malagrotta” valsa, dopo 30 anni, ad evitare pesantissime sanzioni dell’Europa, il nuovo accesso ai fondi europei ed il bando internazionale indetto per la raccolta dei rifiuti, la differenziata al 43% (prima non esisteva), i cambi al vertice dell’Amae,  le denunce per assenteismo dei “netturbini” sono solo alcuni di questi aspetti.

Sull’altare della propria destituzione, altri meriti divenuti “polpette avvelenate” possono ritenersi, ad esempio, il bando teso a risparmiare 120 milioni di euro ogni anno confrontando le spese allegre del comune (ad esempio 4800 euro per ogni pc dato “ai soliti noti”) con i prezzi di mercato, le ruspe ad Ostia per liberare gli accessi al mare dove, da anni, tutti facevano finta di non sapere chi comandava, il completamento, in soli 6 mesi, del 90% del raddoppio della Prenestina (in sei anni era stato completato solo il 40%), la pedonalizzazione dei fori e del tridente, la ripresa delle attività del teatro dell’opera, gli ingenti investimenti nella cultura anche da parte dei privati, la rimozione di migliaia di cartelloni abusivi, il divieto alle pubblicità a sfondo sessista.

Ed ancora, l’accollarsi di circa un miliardo di debiti eredità delle gestioni passate, il bilancio di previsione approvato ad inizio anno (traguardo utopico per quasi tutti gli enti italiani), le regole più stringenti per il bando degli appalti e l’affidamento di lavori pubblici, la riduzione del tempo di apertura degli sportelli della metro con conseguente riduzione del numero di ingressi senza biglietto.

L’amministrazione Marino è inoltre quella che ha “illuminato” la città con le lampadine al LED, che ha finanziato il progetto per la realizzazione del GRAB (poi bloccato dall’ultimo assessore Esposito), che ha ristrutturato tutta una serie di monumenti (Colosseo, Fontana di Trevi, Barcaccia, Piazza 4 Fontane, ecc.).

Ad essa va inoltre attribuito il varo del un nuovo piano per i ripetitori allo scopo di ridurre l’inquinamento da elettrosmog, del nuovo PGTU, dell’indizione di una gara europea trasparente avente ad oggetto 1000 nuovi appartamenti per l’assistenza alloggiativa temporanea, la cancellazione di 20 milioni di potenziali metri cubi di cemento per 160 proposte di nuove urbanizzazioni che si sarebbero riversati su 2300 ettari di Agro romano, di  5 milioni di metri cubi di cemento all’Ex Snia ed al Casilino, la revoca della delibera sulla valorizzazione delle caserme e la riduzione dei “volumi” in altre aree come quella della ex fiera (da 93 mila mq a 67.500 mq), l’individuazione di 743 occupanti di case pubbliche sprovvisti dei titoli per abitarle perché occupanti abusivi, oppure proprietari di immobili o con redditi superiori ai limiti.

Non meno lodevole, la continua collaborazione con la procura di Roma all’indomani della deflagrazione di “Mafia Capitale” o anche la denuncia dei ritardi accumulati nell’apertura del cantiere della Metro C.

Aver suscitato interesse su ritardi della metro nei quali si “inabissano” fior di risorse pubbliche ed attingono a piene mani le più potenti famiglie di imprenditori del settore, romani e nazionali (basta leggere i nomi per capire ciò di cui si parla), aver fatto riprendere i lavori fermi dal 2013 (21 fermate in più in 2 anni), aver azzerato i vertici non proprio efficienti di “Roma Metropolitane” messi lì da tale Gianni Alemanno. Come può definirsi questa azione amministrativa? Beh, se a qualcuno sovviene il termine inadeguato, ben vengano di questi inadeguati.

Il tutto in un percorso accidentato, nel quale altra “mina vagante” è quella delle “municipalizzate”, piaga conosciuta a gran parte degli enti italiani, ma che a Roma riveste proporzioni assurde.

Anche in questo campo, l’opera dell’ex primo cittadino si caratterizza per scelte forti ed impopolari: definizione di oggettivi criteri di nomina nei cda, avviso pubblico internazionale con esclusione di coloro che hanno ricoperto incarichi istituzionali nei due anni precedenti, sono infatti roba da fare invidia ad una qualsivoglia amministrazione della penisola.

Evidentemente non a “Roma capitale”, poco abituata ad alcuni vezzi del Sindaco medico, tipo quello dell’amministratore unico per tutte le società (meno posti da distribuire nei cda) o di nominare sovente presidenti non romani (troppo lontani dalle logiche locali).

Proprio quanto avvenuto, nel luglio 2013, con la nomina del milanese Danilo Broggi a capo di Atac, l’azienda di trasporto pubblico, collassata dal fenomeno “parentopoli” e da un buco di bilancio di 130 milioni di euro.

Lo stesso dicasi per la crociata amministrativa condotta dal Sindaco nei confronti degli “urtisti” (i venditori di souvenir) dei “camion bar”, dei venditori di caldarroste e dei fiorai del centro storico. In questo caso si può raffrontare quanto fatto da Marino con quanto (non) fatto dai predecessori per comprendere alcuni “mal di pancia”.

Gli stessi che hanno assalito alcuni dipendenti comunali, “disturbati” da un Sindaco che mirava a diminuire il dilagante fenomeno delle indennità distribuite “a pioggia”ed a regolare il lavoro dei vigili urbani attraverso la nomina di comandanti competenti e “territorialmente discontinui”.

Scioperi diffusi e selvaggi, lo scandalo delle multe alla Panda Rossa scoppiato quasi ad orologeria sono segni che lasciano pensare.

Anche a riguardo, quindi, meglio sbarazzarsi dell’angusto Marino, piuttosto che valutare, giudicare e semmai apprezzare tale opera di risanamento.

Che si possa essere d’accordo o meno con il suo operato, Marino ha agito con intensità e costanza; molte critiche sono quindi pretestuose e troppo influenzate da “variabili esterne” che  condizionano, negativizzandolo, il giudizio su di lui.

Come il tribolato rapporto con il Vaticano, ad esempio; quel rapporto irrimediabilmente compromesso dopo quello storico 18 ottobre 2014, il giorno in cui il Sindaco procede alla trascrizione di 16 matrimoni gay avvenuti all’estero.

L’evento suscita ovviamente la seccata reazione della CEI (in quei giorni a Roma si celebrava il Sinodo sulla famiglia) e pone termine (eufemismo) ai più convenevoli rapporti istituzionali, in assenza dei quali, l’entrata a gamba tesa di Papa Bergoglio (per una volta mi trova in disaccordo) finisce per mettere l’accento più sulla forma (invito a Philadelphia vero o presunto) che sulla sostanza (i diritti civili sono tema attuale in ogni parte del mondo tranne che in Italia).

Emblematica in tal senso è poi la storia degli scontrini, vicenda non ancora chiara (le autorità competenti diranno portata e veridicità di quanto in oggetto), ma che stando ad alcune fonti scevre da influenze maldestre sembra avere connotati ben inferiori a quelli che si vogliono far credere.

Ma che soprattutto allontano dalla realtà delle cose: per capire quella romana, legata alle vicissitudini dell’amministrazione uscente, ogni analisi e critica deve poggiarsi sulla buona fede, essendo la verità ben più intricata e lontana di quanto sembri.

Per completare il quadro, agli elementi già elencati, bisogna aggiungerne altri tre.

Li cito per ultimo, per mera comodità espositiva, ma penso che siano oltremodo fondamentali e decisivi per le sorti funeste dell’amministrazione Marino.

I nomi, ingombranti,pesano quanto macigni: Giubileo, Olimpiadi e criminalità organizzata.

Le prime due sono eventi di prossima e/o probabile realizzazione intorno ai quali dio solo sa quanti quattrini possano ruotare.

La terza è invece quella variabile che condiziona Roma, il suo vissuto, la sua società fino a darle dimostrazioni di forza (vedasi celebrazioni funebri pirotecniche e barocche), che poco hanno da spartire con un Sindaco che disonesto non lo è affatto.

Tutte e tre, congiuntamente e simultaneamente, hanno inciso sul destino di Marino.

Un Sindaco “poco incline”, al massimo distratto e svagato, che sarebbe diventato sempre più insopportabile nel tragitto, quasi mai limpido, che si accompagna alla realizzazione di taluni eventi.

Specie in un contesto, la Roma odierna, troppo impregnata di un malaffare, sconfinato, almeno quanto la sua sterminata estensione territoriale.

In questo mondo imperfetto, grossi “orizzonti” da esplorare mal si addicevano a Marino.

Questa è la semplice, sintetica e nuda verità; più che di scontrini, io parlerei di un Sindaco dismesso.