JE SUIS CHARLIE, AHMED E LASSANA…

Foto Manifestazione Parigi

I giorni di terrore vissuti da Parigi e dall’Europa intera ripropongono, in maniera drammatica, il dibattito sui rapporti tra Islam, o meglio integralismo islamico (non è la stessa cosa) e mondo occidentale.

La “mattanza” di Charlie Hebdo, gli insanguinati episodi di Montrouge e del supermercato di Vincennes fanno emergere scenari inquietanti, simili a quelli successivi agli attacchi al World Trade Center di New York dell’11 settembre 2001.

Tinte cupe che si intravedono, in egual modo, all’orizzonte della Nigeria, dove la strategia terroristica di “Boko Haram”, seppur meno reclamizzata a livello mediatico, provoca da decenni ed anche in queste ore, migliaia di vittime.

Se dinnanzi ad uno spargimento di sangue non giustificabile da alcun motivo (tantomeno da matrici pseudo religiose), la reazione non può che essere di condanna e sdegno, la riflessione da farsi è accurata, ben oltre la contingenza del momentaneo pericolo.

Da abbandonare, a mio parere, è la logica della becera generalizzazione, per cui musulmano fa rima necessariamente con terrorista.

Per costume, sono contrario ad ogni maldestro tentativo di accomunare uomini ed idee; lo sono in questo caso, come quando si parla di immigrati (non sono tutti clandestini e delinquenti) o come lo sarei se si dovessero etichettare tutti i calabresi come ‘ndranghetisti o gli italiani come imbroglioni.

Nel caso specifico, fare di tutte le erbe un fascio non solo non aiuta ad attenuare la portata tragica del fenomeno, ma non rende, ad esempio, onore ai due eroi musulmani di questi giorni di passione parigina: Ahmed Merabet, il poliziotto ucciso dai fratelli Kouachi  e Lassana Bathily, commesso del negozio assaltato da Coulibaly, doverosamente salito alla ribalta delle cronache per aver messo in salvo numerosi clienti nei drammatici momenti dell’attacco.

Le loro storie, tragicamente uguali a quelle dei vignettisti di Charlie Hebdo, dei poliziotti e degli ostaggi uccisi,  insegnano a tutti i razzisti, islamofobi ed antisemiti che non bisogna affatto confondere gli estremisti e i musulmani.

L’Islam è una religione di pace, condivisione e amore: in Europa ed in Occidente, la praticano, nel rispetto di questi canoni, milioni di persone perfettamente integrate nel tessuto sociale ed economico dei rispettivi Paesi di residenza.

E sono proprio integrazione e dialogo i confini entro i quali racchiudere un rapporto di confronto, anche serrato e divergente, con le realtà islamiche moderate, non trascurando a priori l’ipotesi di definire nuove modalità di “contatto” persino con quelle più integraliste.

In questo senso, infatti, vi è da prendere atto del fallimento di una mera strategia “interventista”: la presenza delle “forze della coalizione” in Iraq, Afghanistan e Siria non ha sin qui condotto ai risultati sperati, se non quello di mietere vittime ed angoscia dall’una e dall’altra parte.

Urge pertanto definire una politica europea comune, in grado di contrapporsi alla minaccia terroristica non (solo) con interventi militari mai risolutivi, ma con una imprescindibile azione di politica estera che metta al centro una fitta rete di relazioni e diplomazia.

Pensare che solo l’azione dell’industria bellica possa risolvere il tutto, o peggio ancora trascurare la questione, rischierebbe di avere un effetto catastrofico paragonabile a quello di una “questione palestinese” mai completamente definitasi che, giova rammentarlo, è origine di ogni deriva jihadista.

Solo azionando effettive relazioni di pace si può disseminare stabilità e sicurezza, evitare altre Parigi, New York, Baqa e Maiduguri, e sedare quei conflitti (afghano ed iracheno in primis), che causano soltanto morte e distruzione, al di là di ogni razza, religione e di una distinzione che, in fondo, non ha alcun senso.