MACERATA – UN’ALTRA STORIA ITALIANA

Può Macerata, una tranquilla cittadina di provincia, trasformarsi in un macabro e trucido scenario di violenza?

Può violenza generare altra violenza in un turbine di situazioni accomunate soltanto dalla scia di angoscia che si trascinano dietro?

In un’Italia schizofrenica, e non solo per colpa della campagna elettorale, i due quesiti presuppongono, ahimè, una risposta tristemente affermativa.

Quanto è successo a Pamela Mastropietro, la 18enne romana barbaramente uccisa in quel di Pollenza, in provincia di Macerata appunto, è di una brutalità inaudita, per l’efferatezza dell’omicidio anzitutto, ma anche perchè, nel caso di specie, l’atto criminoso si abbina ad una “modalità di esecuzione” raccapricciante al sol pensiero di doverla raccontare.

Condanna e sdegno, associati da un umano senso di ripudio sono, in tal senso, i sentimenti che debbono accompagnare questo omicidio, nel quale il colpevole non può che essere ritenuto un mostro a cui far espiare la colpa di un atto così malvagio e crudele.

Assicurare il responsabile alla giustizia, augurarsi che la pena comminatagli sia esemplare (se mai ve ne possa essere alcuna) ed in linea con l’azione criminosa perpetrata, sono quindi gli esiti successivi che uno stato di diritto, qual è il nostro, può desiderare.

Perché al di là della reazione soggettiva di ciascuno, unico modo per onorare la memoria di una giovanissima ragazza strappata prematuramente alla vita, è quello di ristabilire la verità e condannare il colpevole del delitto con pena certa.

Dichiarata unanimemente e senza bisogno di interpretazione alcuna  la condanna, considerato lecito che poi ognuno possa reagire, più o meno duramente, rispetto ad un caso che rende evidentemente sottile il confine fra l’analisi e l’emotività, fra il diritto e il bisogno di giustizia, l’unica cosa che, di contro, non può in alcun modo accadere, è che la risposta ad un gesto violento sia un gesto altrettanto tale.

Se ciò accade, la reazione di censura non può che essere parimenti decisa e ferrea, se analizzata rispetto al fatto singolo come se rapportata al fatto scatenante, sempre che di scatenante possa poi trattarsi.

Non c’è dibattito politico, non c’è strumentalizzazione, non esiste giustificazione che può aiutare a racchiudere il senso di un gesto che, nel migliore dei casi (?), è uno squallido tentativo di fare vendetta senza nessuna volontà di rendere giustizia.

Ancora peggio, è poi, se il “fattaccio” diventa mediatico, se lo si declina a proprio uso e consumo, se lo si arriva persino a “giustificare”, se non lo si condanna senza mezze misure.

I contorni di questa triste vicenda sono in realtà molto semplici da descrivere: hanno la veste intrisa di uno sgomento opprimente per quanto dilagante.

Vi è una vittima, una giovane che trova la morte là dove cercava una degnissima redenzione, vi è un assassino al quale riservare il disprezzo più profondo e poi vi è un esaltato, innominabile, non etichettabile, non commentabile, che è lo stadio ultimo di una storia di provincia in cui non esistono vincitori se non sentimenti deprecabili quali l’odio ed il dispregio per il prossimo.

Senza distinzioni di sorta, senza differenziazioni di razza.