GENOVA E…NON SOLO

Lanterna_di_Genova

In un Paese normale, “Genova 2011-2014” sarebbe il titolo adatto per raccontare di come le cose cambiano, in positivo e relativamente in fretta.

Si tratterebbe di guardare con “rabbia” all’alluvione che nel novembre 2011 ha mietuto vittime (ben sei) e distruzione, ma di prendere poi atto come, a distanza di tempo, la situazione sia decisamente migliorata grazie ad interventi strutturali mirati ed oculati.

I condizionali utilizzati rendono l’idea di un contesto invece non mutato, addirittura peggiorato se, dopo tre anni o poco meno, Genova è ancora sinonimo di distruzione e morte (anche se la vittima stavolta è “una sola”).

Il destino di una delle città italiane più gloriose e nobili finisce così con il coincidere con quello di una nazione intera che si sgretola, come carta pesta, sotto la furia dell’intemperie.

E così, mentre si chiacchiera di art. 18, più per “opportunità mediatica” che per affrontare realmente la questione “lavoro”, il Paese crolla.

I numeri dicono che sebbene oggi si legga Genova, il problema, da declinarsi quale “rischio idrogeologico”, riguarda tutta la penisola.

Secondo i dati Legambiente, infatti, sono ben 6.633 i comuni italiani dove sono presenti aree a rischio idrogeologico (l’82% del totale) ed oltre 6 milioni i cittadini che si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni.

La Toscana, insieme alla Calabria, l’Umbria, la Valle d’Aosta e le Marche le regioni più minacciate.

Non meno eloquenti altri numeri che “spiegano” il fenomeno: 1 miliardo di euro all’anno per rimediare ai danni provocati da frane, alluvioni ed allagamenti; poco più di 100 milioni per prevenirli; 300 vittime legate al dissesto idrogeologico negli ultimi anni (24 solo lo scorso anno) e 10.000 il numero di vittime, feriti o dispersi in Italia, dal 1900 ad oggi.

Passi anche per la fragilità di alcuni territori, Genova e la Liguria in primis, passi per i cambiamenti climatici che favoriscono eventi di così grande portata, ma a questo punto sembra maturo il tempo di “mettere in sicurezza il paese ora” (come recita la petizione web di Ance, Architetti, Geologi e Legambiente).

Il percorso è obbligato: fermare la mano dell’uomo senza tollerare più abusivismo scellerato e condoni edilizi, liberare risorse attingendo ai fondi strutturali 2014/2020, evitare il blocco di finanziamenti spendibili solo per motivi burocratici (come avvenuto per i 35 mln destinati al Bisagno), garantire regole trasparenti sulla qualità dei progetti e degli interventi, in un’ottica di sostenibilità ambientale ed economica.

Con un plauso quasi commosso alla “macchina della solidarietà” che ha le facce sporche, ma quantomai nobili degli “angeli del fango” figli di quelli dell’alluvione di Genova del 1970 (altri 44 morti a bilancio), più che il tempo dei proclami è giunta l’ora dell’azione.

Senza ricorrere a slogan ed annunci (come al solito il premier non difetta in questo), è tempo di interventi, di investimenti tesi ad evitare che si possa ancora morire di “natura”.

La posta in pallio è elevatissima: di mezzo c’è il nostro destino e la nostra stessa sopravvivenza.