SAVELLI – PER UN PUGNO DI VOTI

Archiviate le festività pasquali, ho appena fatto rientro da una delle tante, piacevoli, rigeneranti e rilassanti rimpatriate savellesi.

Come di consueto, il ritorno a casa, specie se per un periodo non troppo prolungato, è momento assai prezioso, che riconcilia con le proprie origini, che ripropone sapori e odori, che regala sensazioni che solo l’atmosfera della terra natia è in grado di accordare.

Ma l’ultimo week end è servito anche per farmi gustare le ore, concitate e frenetiche, che scandiscono la vigilia di una “stagione elettorale” paesana incombente ed oramai alle porte.

Ci fosse la possibilità di emanare una legge ad hoc, si potrebbe proporre una sorta di regime speciale valido solo all’interno dei confini savellesi: sancire, per decreto, che il rinnovo del Consiglio comunale avvenga a cadenza annuale o al massimo biennale, per sfruttare così l’insospettabile “fregola” che coinvolge il paese allorché ci si prepara alle elezioni comunali.

Sarebbe il miglior modo per sconvolgere il precostituito torpore quotidiano, quello che scandisce incessantemente la normalità nostrana e che svanisce come d’incanto, lasciando spazio a brio ed effervescenza, quando si è chiamati a prender parte a tutto ciò che è “elettorale” (vi assicuro che è tanta roba) in un paese come il nostro, ridotto, gioco forza, negli uomini e nello spirito.

Accade così che la fase di stesura delle liste, il compimento delle proverbiali “scelte di campo”, il sostegno, più o meno esplicito, a compagini e candidati, la demonizzazione di avversari, il riciclo di vecchi amici, la rottamazione di antichi compagni di viaggio, il riproporsi di nuove e vecchie alleanze diventano tutti, di colpo, esercizi praticati dai più, persino dai troppi.

Assistere a questa macchina che si mette in moto, farlo da spettatore, dopo anni di un coinvolgimento, più o meno diretto, che non consentiva di coglierne i tratti in maniera obiettiva, permette di rintracciare i molteplici aspetti, non tutti contraddittori, che questo pezzo di vita comunitaria si porta dietro, inesorabilmente, almeno fino al giorno della chiamata alle urne.

In un periodo in cui è argomento indiscusso, al bar come in piazza, il primo elemento da evidenziare è che anche a Savelli la cosiddetta “politica liquida” ha oramai soppiantato la politica tradizionale, quella che presupponeva la discussione e la mediazione, lo scontro e l’appartenenza, la militanza e la rappresentanza, la costanza e l’impegno.

Ad emergere sono così accordi, in molti casi inciuci mascherati, architettati davanti ad un bicchiere di vino più che espressione di quei meccanismi di costruzione che caratterizzavano invece il dibattito in quelle che una volta erano considerate le “sedi più opportune”.

Sezioni aperte (chissà perché) dopo anni di chiusura, sedi che non apriranno mai perché non se ne sente il bisogno, parti di un sistema foraggiato per più di un lustro che diventano improvvisamente (?) strenui oppositori del sistema stesso, assenti colpevoli che, folgorati sulla via della redenzione, diventano grandi strateghi (chissà per quanto poi), totale mancanza di una seria discussione programmatica, sono i contorni di un contesto in cui i contatti, strettamente personali, si basano su legami che fioriscono sulle ceneri di pregresse divisioni laceranti e di inaspettate divisioni che emergono, invece, laddove fino a qualche mese fa si viaggiava al grido del “tutti per uno, uno per tutti”.

In attesa della formale definizione delle “squadre” che si affronteranno, la disputa che si profila all’orizzonte sembra doversi svolgere sul filo dell’equilibrio. Si tratterà di una competizione il cui esito si deciderà su variabili più o meno condivisibili, che sarà orientata da prove di forza più che da programmi e progetti, ma che risentirà inconfutabilmente, come da tradizione, di rapporti amicali e parentali dai risvolti spesso inimmaginabili.

Il tutto si deciderà lungo lo strettissimo sentiero della manciata di voti; ci sarebbe da augurarsi che a prevalere sia la qualità, tanto nella formazione delle liste quanto nel confronto elettorale e nella libera espressione del voto di ciascuno.

Più verosimilmente, sarebbe già da ritenersi soddisfacente se qualsivoglia forma di confronto avvenisse sui binari del rispetto reciproco, della qualità delle idee in campo, degli stimoli degli uomini e delle donne chiamati a ricoprire ruoli di prestigio e di responsabilità, della sdrammatizzazione di una competizione che deve potersi concludere, comunque, senza gli strascichi che storicamente si lascia dietro.

Per quanto mi riguarda, sarò costretto a disertare le urne per impegni assunti in precedenza e non più procrastinabili. Avevo previsto un voto entro fine maggio, ma la ruggine del disimpegno politico ha fatto brutti scherzi anche in tal senso.

La non partecipazione diretta al voto non mi impedirà di stare comunque attento all’evolversi della situazione, di fare opinione, di essere critico, di dire come sempre la mia.

In una veste del tutto nuova nel mio rapporto con la politica locale, potrò analizzare esternamente basandomi su alcune convinzioni che fino a qualche tempo fa non avrei mai convenuto potessero diventare tali.

La prima è che un benefico distacco rende tutto tremendamente e fortunatamente digeribile, anche quelle “operazioni” che in altri tempi avrei considerato da osteggiare ad ogni costo e quelle “ammucchiate” alle quali avrei inteso oppormi ostinatamente ed in prima persona.

La seconda è che cinque anni fa, ultimo frangente nel quale mi sono interessato alla vita politica del paese, la costruzione della lista fu davvero un’operazione encomiabile, alla quale parteciperei come fatto allora, perché opera di costruzione di un qualcosa di difficilmente riproponibile che avrebbe avuto un futuro, oggi più di ieri, se solo alcune “varianti” non si fossero indirizzate verso il successivo appiattimento.

Ce ne sarebbero poi altre di valutazioni da compiere, ma quelle le tengo per me, ripromettendomi, di metterle a disposizione di quanti vorranno eventualmente conoscere (saranno in pochi, ma buoni) il mio parere scevro da qualsivoglia strumentalizzazione.

Tanto mi compete, da osservatore attento, ma comunque pur sempre tale, non fosse altro che per il non dover essere necessariamente attore protagonista e per poter quindi riservare al paese esclusive attenzioni di appartenenza riservandomi impagabili momenti di svago e di rilassatezza.

A tutti i contendenti va pertanto il mio personale augurio a che possano rappresentare al meglio le sorti future del nostro centro abitato, nella consapevolezza che chi vincerà, come nei migliori duelli del western d’altri tempi, lo farà per “un pugno di voti”.

To be continued