FUACU!!!

La siccità e la probabile matrice dolosa hanno aperto, di fatto, la stagione degli incendi su suolo savellese.

Stavolta, a farne le spese, una vasta porzione di territorio compresa fra la zona a monte del Fiume Lese, la zona intorno a Timpa Caccianinni ed un’ampia distesa di pini e querce facente parte del Parco Nazionale della Sila.

Dietro il rogo che ha coinvolto centinaia di ettari di bosco, dietro le fiamme che hanno lambito il Parco Astronomico “Lilio” ed il Villaggio Pino Grande, dietro la coltre di fumo che ha invaso il centro abitato definendo l’imprevedibile scenario apocalittico di una tranquilla domenica di luglio, si celano mille dubbi.

Trattasi dei classici interrogativi che si accompagnano a fenomeni del genere, eventi in cui la forza della natura, associata alla perversione della “mano umana”, connota i tratti tipici di un mix a dir poco distruttivo.

Tralasciata ogni valutazione circa la tempestività degli interventi messi in atto, riguardo alla quale ogni considerazione non può essere completa se non sulla scorta di elementi oggettivi al momento non disponibili, le perplessità concernono, senza dubbio, il campo della prevenzione.

Quella “buona pratica”, spesso sconosciuta alle nostre latitudini, che ha, o meglio dovrebbe avere, il compito di preservare l’indubbio patrimonio, naturale e non, che caratterizza ed identifica un territorio.

Nell’anno di grazia 2017, si possono affidare le sorti di un paese e dei propri abitanti ad sistema di protezione civile complessivo praticamente inesistente o comunque obsoleto ed inadeguato, che presta puntualmente il fianco al fuoco nella stagione estiva ed alla neve in quella invernale?

Può inoltre una porzione di terra montuosa, cosparsa di bosco in ogni suo angolo, permettersi ancora di esporre il suo patrimonio a stati di incuria e di abbandono latenti?

E per quanto ancora, prima che questo stesso patrimonio vada letteralmente in fumo, lasciando in ginocchio questo splendido habitat silano che dovrebbe invece sostentarsi di questo autentico dono della natura?

Può il Villaggio Pino Grande convivere con un generale stato di degrado e di precarietà che fa a pugni con la sua bellezza incontaminata?

Può un’autentica perla paesaggistica rischiare di trasformarsi in “polveriera”, perché a farla da padrona sono, in molti casi, assenza di manutenzione o manutenzione fatta a spregio delle regole del vivere civile?

Possono configurarsi ancora situazioni per le quali sentieri antichi che potrebbero rappresentare preziosi avamposti naturali, attraverso i quali architettare reali fronti anti-incendio, si trasformino invece in pericolose trappole perché praticamente impercorribili ed inaccessibili?

Mentre anche in queste ore l’incendio non sembra del tutto domato, mentre l’incedere dei canadair squarcia ancora il cielo sopra Savelli, ritornare ad affrontare, in maniera esaustiva, certe questioni può ritenersi il miglior viatico per scongiurare, una volta per tutte, i danni, futuri e prevedibili, che si accompagnano, quasi sempre, a sciagure simili.

Muovendo su questo piano, farsi carico delle azioni da intraprendere sgomberando il campo dai soliti, estenuanti discorsi su competenze e responsabilità, proprie ed altrui, tanto a livello di singoli cittadini quanto a livello istituzionale,  è l’unica scelta che si può operare, l’unica strada da imboccare e percorrere.

Il tempo stringe e va comunque sfruttato nella giusta direzione.

In gioco c’è la possibilità di preservare un patrimonio unico, tratto distintivo di questa parte di Sila ancora non completamente sfruttata ai fini turistici ai quali sarebbe naturalmente destinata (chissà se mai lo sarà), ma che vale la pena custodire, ad ogni costo, in virtù di una bellezza rara, degna di ben altri e più prestigiosi palcoscenici.