CAMPAGNA ELETTORALE

L’elezione di Nello Musumeci a Presidente della Regione Sicilia coincide, di fatto, con l’apertura della campagna elettorale in vista delle elezioni politiche della prossima primavera.

Se l’appuntamento alle urne, in terra sicula, rappresentava il classico banco di prova, intermedio, attraverso il quale “contarsi” in vista del traguardo più ambito, d’ora in avanti lo sguardo delle forze politiche è più che mai proiettato verso la scadenza più attesa.

In attesa di comprendere quanto il meccanismo della nuova legge elettorale possa garantire un Governo stabile e credibile, la fase che si apre è di quelle da ascrivere alla voce “snodi cruciali” per il destino futuro del Paese.

Un contesto tuttavia frastagliato e ricco di contraddizioni rappresenta il viatico, non certo ideale, lungo quale ci si prepara alle elezioni governative.

I dati che emergono dal voto siciliano, seppur esposti, come di consueto, al rischio di interpretazioni strumentali e di comodo, consegnano infatti uno scenario nel quale inclinazioni che vanno via via consolidandosi pongono molti dubbi e poche certezze, con parecchi interrogativi che accompagnano l’incedere delle coalizioni che si presenteranno agli elettori.

Il primo riguarda proprio il rapporto fra gli elettori e gli eletti: la scarsa affluenza alle urne in Sicilia, ultimo dato negativo di una tendenza oramai storicizzata, conferma lo scarso appeal che le attuali forze politiche esercitano sulla platea dei votanti.

Accade così che, ancora una volta, l’ideale ed apparentemente invisibile partito dei “non votanti” risulta essere quello maggioritario, segno che questa politica non piace, questi politicanti ancora meno, e che anche coloro che si recano alle urne non sono certo convinti da programmi ben definiti e lungimiranti.

La Sicilia dice soprattutto che il Centro-Destra è definitivamente guarito, è pronto a candidarsi ad assurgere la guida del Paese, specie laddove dovesse trovare un leader autorevole (Berlusconi non può ritenersi tale non fosse altro che per evidenti limiti di età) e definire i tratti di una compagine unita.

Sta proprio all’interno di questa unità, tuttavia, la contraddizione di fondo della compagine guidata dal trio Berlusconi-Salvini-Meloni.

Riuscirà l’ambizione di ritornare al Governo a colmare le differenze fra la rude spinta salviniana e la mite componente liberale?

Riusciranno, inoltre, a convivere sotto lo stesso tetto spinte molto controverse su questioni di politica estera in nome del “volemose bene” perché così si vince?

Non meno contraddittorie sono le sorti delle altre due facce di quel panorama politico, raffigurabile come un “mostro” a tre teste, che rischia di profumare, ancora, di instabilità e larghe intese anche all’indomani del voto 2018.

Compito arduo e difficile attende, ad esempio, i cinquestelle, obbligati, ormai, ad ergersi a forza di governo e non più, o meglio non solo, a “raccoglitore” delle istanze di protesta e rottura che provengono dalla base.

Riusciranno Di Maio e company a prospettare una proposta di governo seria e reale?

Riusciranno i pentastellati ad andare oltre il grido “onestà e trasparenza” e magari a chiarire, una volta per tutte, i propri intenti su temi quali l’immigrazione, il ruolo europeo dell’Italia, e più in generale su una strada programmatica ben chiara e rintracciabile?

Destino ancora più controverso, riguarda infine, il Partito Democratico, o meglio quel che resta del Pd tradizionalmente inteso, di un partito, cioè, in preda ad una crisi di identità che non conosce soste, se non quelle di sonore sconfitte e bocciature.

Riuscirà il Pd a riappropriarsi di quei valori fondativi che appaiono lontani anni luce? Riuscirà a riavvicinare un elettorato oramai in fuga?

E per farlo, si avrà il coraggio di mettere nel cassetto leadership evidentemente non più tanto rottamatrici ed autorevoli?

Dirimere i dubbi legati alle rispettive compagini è il compito, arduo per quanto stimolante, che attende coloro che vorranno realmente candidarsi alla vittoria.

La posta in palio è elevatissima, richiederebbe uno sforzo, di idee e di contenuti, degno di uomini e di stagioni che sembrano latitare.

Aprire un dibattito, serio, reale, convinto, e non solo teatrale e televisivo, rappresenterebbe, in tal senso, l’unico modo di impostare una campagna elettorale capace di far capire quale è il miglior Governo da dare alla nazione.

Ci sarebbe da aprire sezioni (non è una parolaccia) e punti di incontro, infiammare piazze e sollevare questioni, ci sarebbe da fare Politica e non cercare, solo e soltanto, audience. Ci sarebbe da ascoltare la gente e non affidarsi a twitter o facebook, ci sarebbe da comunicare qualcosa e non solo apparire.

Ci sarebbe da convincersi, prima che di convincere, a colpi di visioni e programmi. Ci sarebbe appunto.

Perché poi se non si è convinti, ci si può sempre astenere, non prendere parte ad uno spettacolo non certo degno di essere vissuto ed andare ad ingrossare le file del “non voto”.

Perché ad oggi recarsi fuori porta, anziché accordare una preferenza non meritata, è l’unica strada percorribile, salvo che non si voglia ritornare ad assaporare antichi amori, dal colore rosso rubino e dal sapore di un ritorno al passato che sa tanto di futuro almeno idealistico.