TRUMP FOR PRESIDENT

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Un successo epocale, esaltante e dalle proporzioni finanche inaspettate: Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, al termine di un’elezione che si colloca dritta negli annali della storia, alla voce “evento di portata mondiale”.

Contro ogni previsione dei sondaggisti, la scalata alla Casa Bianca di “The Donald” fa decisamente saltare il banco.

Rappresenta infatti l’entrata nel sistema, dalla porta principale e più ambita, di un ingombrante esponente dell’anti-sistema, di un miliardario costruitosi su posizioni ed idee estreme, su insulti trasformatisi in strategia, su condotte poco etiche che hanno paradossalmente veicolato un consenso inimmaginabile.

Senza bisogno di avventurarsi in  analisi di politica estera per le quali il rinvio a testate giornalistiche ed a penne ben più qualificate della mia è obbligato, il giudizio sul sorprendente risultato delle presidenziali americane non può che variare a seconda della prospettiva dalla quale si intendano giudicare i dati emersi.

Premessa: proprio perche il successo del tycoon è esclusivo responso del popolo, che piaccia o no, esso è inconfutabile, più o meno condivisibile, ma certamente non opinabile per quanto assoluto, nelle dimensioni quanto nella sostanza.

Volendo approfondire invece le potenziali ragioni che hanno condotto a tale risultato, la mia prospettiva è decisamente diversa rispetto alle ben più autorevoli voci dei tanti analisti che stanno commentando questo post voto.

Quasi tutti infatti fanno coincidere il trionfo di Trump con l’esaltazione di quel populismo che imperversa in Europa e che al di là dell’Oceano ha trovato sintesi massima nel neo eletto Presidente americano.

Altri ancora giudicano la scalata di Trump assimilabile a quella di tanti altri uomini di affari (Berlusconi docet) che hanno sfruttato la loro ricchezza per incastonarsi nei meandri del potere.

Molto più che come un trionfo di un movimento populistico o del classico facoltoso “sceso in campo” per tutelare in primis i propri interessi, Trump Presidente significa definitivo collasso ed inesorabile caduta di un modo evidentemente obsoleto di fare politica.

Trattasi di quel mondo “degnamente” iconizzato da Hilary Clinton (non si poteva scegliere candidato peggiore), ma che sotto l’affascinante parola “establishment” evidenzia l’inadeguatezza di programmi che spesso non diventano azioni, di proclami che restano quasi sempre slogan, di scelte che finiscono per tradursi solo in esitazioni.

Dal Paese più potente di una realtà occidentale che si sta esplicitamente ribellando anche a quel fallimentare sistema capitalistico che la sostiene (bisognerebbe forse prenderne atto) il messaggio arriva forte e chiaro: un certo modo di fare politica è finito inesorabilmente nel cassetto.

Piuttosto che affidarsi a facce di un sistema considerato totalmente marcio, anche il popolo americano ha preferito un salto nel buio, preferendo incognite potenziali a delusioni certe.

Le sorti della democrazia più grande del Mondo segnano il definitivo tramonto di quella visione della politica per come tradizionalmente intesa.

In un mondo che si evolve in maniera sconvolgente e non determinabile, la vittoria di Trump si traduce nella fine del moderatismo, di una politica più propensa agli schemi che alle soluzioni, molto autoreferenziale e poco vicina alla gente.

Prova ne è che la vittoria repubblicana nasce nella pancia degli Usa, in mezzo a quella classe media che ha visto perdere, sulla scia della crisi, condizioni di benessere in nome di una disuaglianza latente.

Nell’America in cui pochi hanno molto ed alla gran parte non resta che accontentarsi delle briciole, la rivoluzione popolare ha quindi il nome ed il volto di Donald J.Trump.

Un uomo destinato ad entrare nella storia, per essere il 45esimo Presidente degli Usa, ma anche per aver incarnato le sembianze di un autentico sconvolgimento di assetti precostituiti.

Sarà anche un paradosso, potrebbe rappresentare persino una minaccia, ma auspicando che il Trump Presidente sia meno impulsivo e goffo del Trump candidato, l’elezione americana ci dice che tutto è fortunatamente (?) imprevedibile e, come tale, può essere sovvertito.

Non resta che prenderne atto.