GRAZIE VENTURA

Rifugio e panacea dei mali di un Paese ricco di storture e contraddizioni, il calcio vive il suo dramma collettivo e conosce un tonfo dai risvolti epocali.

A distanza di 60 anni dall’ultima volta, la Nazionale italiana non prenderà infatti parte ai Mondiali che avranno svolgimento in Russia, nel 2018.

Costretti ad affrontare la trappola degli spareggi, dopo aver chiuso il girone di qualificazione dietro ad una Spagna nettamente superiore, avremmo dovuto fare un sol boccone della rude e generosa Svezia, aiutati, fra l’altro, nel return match, da un San Siro che indossava, per l’occasione, l’abito migliore, salvo che per gli iniziali fischi all’inno avversario.

Zero goal realizzati in 180 minuti, una confusione tattica degna di palcoscenici dilettantistici, gestione della rosa a dir poco discutibile, sono stati invece i contorni di un fallimento, solo alla vigilia, inimmaginabile.

La disfatta ha i segni, inconfutabili, di un movimento calcistico oramai in perenne crisi di identità, immerso in un’involuzione irreversibile che dura da decenni e vittima di una gestione dirigenziale, Tavecchio docet, e tecnica, quella di Giampiero Ventura, che ha pagato l’inadeguatezza di un allenatore presuntuoso, incapace ed anacronistico.

Se è vero infatti che non esistono più i Totti, i Baggio, i Del Piero, i Pirlo, i Cassano, i Vieri, gli Inzaghi, i Nesta, i Cannavaro, i Maldini, altrettanto vero che, senza se e ma, anche questa Italia, oggettivamente inferiore a molte altre di epoca più o meno recente, poteva e doveva andare al Mondiale.

Per riuscirci, sarebbe bastato il classico compitino, disegnare la squadra intorno ai talenti più in forma (Insigne ed El Sharawy), giocare a 4 dietro, assecondare lo stare in campo delle squadre di club più rodate, convocare le migliori proposte del Campionato (Cristante e Pellegrini ad esempio), schierare i calciatori nel ruolo dove rendono al meglio e non perdersi in eccessi di protagonismo tattico rivelatisi evanescenti.

L’aver percorso la strada dell’improvvisazione e dell’incauta sperimentazione ha condotto, di contro, ad una logica ed infausta conclusione: una sconfitta di tutto il calcio che al calcio ed a tutto ciò che gli ruota attorno affida interrogativi pesanti quanto macigni.

Archiviata la parentesi Ventura, consci che occorrerebbe destituire anche i vertici della Federcalcio, auspicando che qualcuno voglia, bontà sua, dimettersi, l’unica nota positiva di questa debacle potrebbe rivelarsi solo il prender consapevolezza di aver toccato il fondo e che, da qui, non si possa fare altro che ripartire.

Riformare per davvero il sistema è, in tal senso, l’unica strada percorribile, prendendo spunto da modelli, quali ad esempio quello tedesco, che possono indicare la strada per risalire.

Riportare al centro tecnica e qualità, insegnare nelle scuole calcio a palleggiare piu che a correre, dotarsi di stadi moderni e funzionali, dare reale impulso ai settori giovanili e garantire una ripartizione equa delle forze in campo.

Solo così, il calcio italiano può uscire dalla crisi, muoversi in controtendenza rispetto all’inefficienza dilagante del vivere italico e ritornare ad essere prodotto da esportare pur restando “la cosa più seria fra quelle meno serie”.

L’alternativa è un oblio sportivo e sociale senza precedenti, di cui questa apocalisse calcistica rappresenta premessa, di per sé già indicativa, che segna la storia.