BAGNO DI UMILTA’

 

Roma-Bayern Monaco_Coreografia Curva Sud

 

La disfatta nella notte di Champions più attesa, quella di martedì scorso, non può che definirsi “da incubo” per la Roma ed i propri tifosi.

Prima di archiviarla, è il caso di trarre conclusioni da cui ripartire, voltare pagina ed affrontare, con spirito rinnovato, il resto della stagione.

Il primo insegnamento della cocente “lezione bavarese” è che restare umili è aspetto imprescindibile, nella vita come nel calcio.

Ho apprezzato, e non poco, le parole di mister Garcia prima della gara con il Chievo.

Ribadire di sentirsi i migliori in Italia era fondamentale per il “post-Juventus”, necessario per ripartire dopo una gara che, se non aveva portato punti per motivi non tecnici (Rocchi docet), aveva comunque confermato convinzioni e consapevolezze.

All’indomani di una sconfitta a dir poco bruciante, condanno (sportivamente parlando) la presunzione con la quale squadra ed allenatore hanno affrontato i campioni di Germania.

Se nelle partite contro il Cska Mosca ed il Manchester City si intravedeva una sorprendente “personalità europea”, contro i tedeschi bisognava travestirsi da “provinciale”.

Così non è stato ed il risultato, per usare un eufemismo, non è stato dei migliori.

Al cospetto di Robben e compagni serviva una Roma catenacciara che badasse poco alla forma: due linee compatte, fasce copertissime (Torosidis/Florenzi e Cole/Holebas ad esempio) e tanto contropiede, vecchia maniera, da affidare a Gervinho ed Iturbe.

Per imbrigliare le squadre di Guardiola non serviva avventurarsi nel terreno del “possesso palla e degli inserimenti continui” (lì sono maestri), né schierarsi a “viso aperto”, ma cavarsela “all’italiana”.

Se certi accorgimenti li ha adottati persino il Real Madrid (lo scorso anno) ed in talune occasioni il Milan (non quello di Sacchi), squadre dalla tradizione europea ben superiore alla nostra, se anche Mourinho in quel “Barcellona-Inter” del 2010, con “difesa ad oltranza” ha colto una qualificazione decisiva per il successivo trionfo nerazzurro, perché noi non l’abbiamo fatto?

Lasciando ai posteri l’ardua sentenza, è ora tempo di recuperare la reale dimensione, quella di una squadra che in Italia può vincere, solo se si concentra sul campionato come primo obiettivo. In gioco c’è un traguardo storico, troppo importante per essere trascurato.

Seguire i consigli della Sud (non esiste al mondo una Curva che, dopo un 1-7, intoni “Vinceremo il tricolor”) ed adeguare le ambizioni alla dimensione nazionale può far cogliere il senso e l’essenza di questa sconfitta.

L’Europa, quella della “grandi orecchie”, seppur “ammaliatrice” per società (maggiori introiti), calciatori (ribalta europea) e tifosi (io non sono fra quelli) può attendere.

Prendiamone atto con l’umiltà dei grandi: un pizzico in più, non guasta mai.